Pablo Palacio nasce in Ecuador, a Loja, nel 1906. Ottiene risultati precoci in ambito letterario e partecipa attivamente ai circoli avanguardisti. La sua produzione letteraria si concentra tra il 1927 e il 1932: pubblica sulle testate della capitale i suoi racconti, tra cui “Un hombre muerto a puntapiés”, titolo dell’omonima e fortunata raccolta, che desta non poco scandalo per l’irriverenza e la novità assoluta dei temi trattati. Il romanzo breve Débora lo consacra al successo letterario alla straordinaria età di ventuno anni. La sua terza e ultima opera, Vida del ahorcado, è di nuovo un romanzo breve. Sebbene la sua carriera di avvocato, docente universitario, scrittore e politico sia in costante ascesa, è costretto a ritirarsi a vita privata. Lo scrittore muore nel 1947 in una clinica psichiatrica di Guayaquil, avvolto dall’oscurità come il protagonista di un suo racconto.

 

Signora!

di Pablo Palacio

traduzione di Alice Piccone

tratto da Un uomo ucciso a calci, Arcoiris Edizioni, 2018

 

«È stato lei, sì, è stato lei».

«Prego, signora…?».

«Dico che è stato lei; non faccia il finto tonto».

«Ma… signora…! Mi scusi: non so di cosa parla».

«Ah! Ipocrita… Mi restituisca immediatamente quello che ha rubato».

L’uomo sentì uno scricchiolio nel catafalco del suo buon giudizio e si vide davanti la faccia di quella rabbiosa con gli occhi sgranati.

«Lei era seduto accanto a me, a teatro?».

«…Sì, signora; mi pare di sì…».

«Allora, che cosa ne ha fatto del mio sacchetto di gioielli?».

«Ma quale sacchetto di gioielli?».

«Oh! Questo è troppo! Chiaro, cosa avrebbe potuto dire! A che punto siamo arrivati! Lei adesso viene con me, giovanotto, e non si azzardi a parlare, perché altrimenti le rispondo male. E poi sarei io a dovermene vergognare!».

Nella commedia moderna l’automobile è un personaggio interessantissimo; ed ecco che anche qui se ne avvicina una.

«Andiamo al Commissariato di Polizia!».

Sconcerto. “Sono pazzo io o è pazza lei? Sto sognando o non sto sognando? Che cosa mi sta accadendo? Sono un ladro o non sono un ladro? Esisto o non esisto?”. Alto livello di istupidimento.

«Ma, signora!».

«E continua! Non riusciamo proprio a intenderci. Gliel’ho già detto. Deve restituirmi quello che ha rubato e non uscirsene con inutili lamentele. Non sarebbe successo niente di tutto ciò se lei me l’avesse restituito subito. A che servono i suoi giochetti?».

«Glielo giuro, signora: non capisco cosa mi stia chiedendo».

«Stia zitto! Zitto! Mi sta facendo perdere le staffe. Sono sicura che è stato lei, ecco perché faccio quel che faccio. E non so bene perché mi sto comportando così, ma nonostante la mostruosità che ha appena commesso, lei mi sta simpatico; altrimenti sarebbe già alla Polizia a vergognarsi. Qualcosa mi ha fatto capire che lei è una persona per bene, e sono certa che non dovrà sopportare l’impaccio delle indagini».

Polizia.

«Forza, giovane, in nome di Dio, mi restituisca il sacchetto. Sono gioielli preziosissimi, è tutto quello che ho. Si immagini cosa dirà mio marito quando tornerà. Ah! E tutto questo perché lui non era con me… ecco cosa dirà. Forza, giovane, mi compatisca…».

«Ma che diavolo sta succedendo? Le ho già detto che non ho niente di suo. Capisce? Niente. Siamo arrivati alla Polizia. Proceda, signora, prego».

«No, non scenda, non si disturbi. Non voglio farle fare una figuraccia. Accidenti, accidenti. Stia zitto. No, no, non può essere. So che avrà pietà di me. Adolfo, vada a casa».

«Maledizione!».

Istupidimento definitivo: “La uccido o non la uccido? Sono pazzo io o è pazza lei? Che ora è? Dove sto andando? Ci sarà un volto amico oltre la notte o un nemico? Chi è questa donna? Ho rubato o non ho rubato?”.

«E non provi a lanciarsi fuori… Si farà male. Vada più veloce, Adolfo, più veloce».

E visto che il viaggio fu lungo, l’uomo ebbe paura.

Due occhi di gatta brillavano.

Naturalmente cominciò a piovere forte.

«Non sia sospettoso. Lei ritiene pericolosa una donna sola, di notte? Oh, ma che bambinone… Non la mangeremo mica. Ma parli. Perché non parla? Le hanno forse tagliato la lingua?».

Silenzio assordante. Sfilata, davanti all’immaginazione, di tutti i gesti, i comportamenti e le condizioni dell’assurdo.

«Siamo arrivati. Mi faccia la cortesia di scendere, giovane. No: per di qua. Non sia diffidente. Che pericolo può rappresentare, per lei, una donna sola? Venga. Entri. Accidenti, lo spavento che mi ha fatto prendere. Credevo che non avrei mai più rivisto i miei gioielli, e sono tutto ciò che possiedo. Ah, ma fa un freddo terribile. Entri, s’accomodi». Silenzio. «Adesso ho bisogno dei miei gioielli. Mi faccia il favore, giovane».

«Ma, signora, che problema ha? Gliel’ho ripetuto fino allo sfinimento: io non ho i suoi gioielli».

«Bene, prima di tutto mi dica perché mi chiama signora…».

«…Perché è quello che sembra».

La signora rise.

«Accidenti, accidenti… Mi perdoni se sono così fastidiosa; ma l’avrà già capito… la mia è una situazione molto difficile… Lei sa già che mio marito è fuori e che potrebbe arrivare da un momento all’altro dopo due, tre, quattro giorni… E cosa gli dirò di quei gioielli? Siccome è un po’ geloso, chissà cosa si metterà in testa… Ah, no, Dio mio, quando penso all’idea che potrebbe farsi di me, mi sotterrerei viva…! Mi perdoni; so che mi sto comportando in modo molto indiscreto, ma il fatto è che in questo momento non posso fare nient’altro… Mi permetta di chiederle il cappotto…».

La signora cercò inutilmente in tutte le tasche e lo poggiò su una sedia.

«Oh! Ma non se lo rimetta così presto. Aspetti. Accidenti, che mani fredde ha. Vuole bere qualcosa? Rum? Cognac? Whisky?».

«Non prendo niente, signora».

«Uff, quanta serietà… Ma guardatelo, il ragazzo. Aspetti, non si muova. Le porterò io qualcosa perché non voglio svegliare i domestici, e poi voglio vedere se rifiuterà. Già che ci siamo porterò anche una cosetta per sistemare la faccenda dei gioielli».

Chiaramente aveva smesso di piovere.

Occhiate veloci e folli. Una finestra bassa fu il miracolo. Appurato che non c’era pericolo di rompersi le ossa, per forza da lì l’uomo – e anche lo scrittore del racconto – doveva salvarsi, per poi scomparire lungo la strada, sconvolto.

Sentito il rumore della finestra, ovviamente la signora tornò in salotto: non trovando la vittima, andò di corsa a controllare fuori, indiavolata. Era ostile e rabbiosa.

Si sarebbe strappata i capelli. Avrebbe gettato nel lago quieto della notte, legato all’estremità del suo lungo sguardo indagatore, un voluminoso:

«Zotico!».

Una fiondata colpirà lo stupore dell’uomo.

 

 

© Pablo Palacio, 1927. Tutti i diritti riservati.

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